Belve Feroci – il finale


Non osai rispondere. Avrebbe dovuto rassicurarmi sentire pronunciare il nome di mia madre?
«Sei un suo paziente?» volevo conferme, o non avrei ammesso proprio nulla. Intanto, andavo dimenticando che Goran mi aspettava nel retro, e conoscendolo, doveva già essere in pieno attacco d’ansia. 
«No, ma la mia cara Babette lo era eccome.»
«Babette…» feci, arricciando una narice all’insù. Qualcuno stava preparando il barbecue, e bastò l’odore di legna che ardeva per farmi venire il vuoto allo stomaco.
«Mia madre.»
«Strano, non me la ricordo all’ambulatorio.»
«Credo bene, era così malata da richiedere assistenza a domicilio. Tua madre era la sua assistente personale.»

Lo lasciai finire di bere, e intanto feci uno dei miei rapidi calcoli a fronte aggrottata. Volevo riuscire seria, perché gli adulti lo sono sempre, ed è per questo che non prestano quasi mai ascolto ai bambini. Li ignorano del tutto, quasi fossero creature appartenenti a un universo parallelo, e si accorgono di loro solo quando è troppo tardi.

Quando il loro pianto sconquassa le loro orecchie, e li sprona a correre in loro soccorso. Io la vivevo a quel modo, e non vedevo l’ora di crescere, per diventare una persona importante; un capo, forse. Ero troppo testarda già allora, priva di ogni tendenza alla subordinazione.

«Ѐ stato due anni fa.» Occorse qualche secondo per riflettere, e per farlo dovetti adattarmi all’andatura sbilenca di un ragno che passeggiava sopra la testa del padrone di casa, trascinandosi dietro una zampa morta verso il suo santuario a un angolo del soffitto. 

«Lesione spinale conseguente un’is…ische…» 
Mi restituì uno sguardo indescrivibile. Non era attonito, o sorpreso, scadeva nel vago. L’avrei richiamato con uno schiocco delle dita, ma fu il bicchiere vuoto a risuonare, sbattuto sul tavolino che a conti fatti avrebbe dovuto scavalcare, per acciuffarmi.

«Ischemia. Si dice Ischemia. Ma si può sapere quanti anni hai?». Feci spallucce, senza badare a mostrargli l’arma che avevo in pugno.
«Esattamente quanti ne dimostro»
«Ah, di testa sinceramente troppi!» rivolse gli occhi alla porta, ed io capii che avrei fatto meglio a togliermi dalla sua visuale.

Avevo parlato troppo, ancora. Mio padre sì che mi avrebbe raggiunto, tavolino o meno. E la sua grande mano guantata, così gentile nel maneggiare i bisturi, mi avrebbe rivoltato la faccia.

«Vado!» annunciai, mostrando di aver perso ogni attrazione nei confronti di quello scambio di opinioni. La noia alle volte si impadroniva di me, repentina, incontrollabile; e allora sentivo il bisogno di seguire nuovi corsi, come il vento. Sono vento. Lo sono sempre stata.

«Bene. Le scale sono in fondo al corridoio. Portano direttamente al garage, è aperto. Prendi l’aquilone e sparisci.»
“…e sparisci”. Per tutta risposta, indietreggiai di un passo. Non amavo che mi si impartissero ordini, qualsiasi fossero. Li repellevo tanto da finire per eseguire quasi sempre l’esatto contrario. Lo facevo col mio vecchio, anche se poi mi toccava correre a nascondermi in fretta dietro alla jupe della mamma.

Perché non avrei dovuto farlo con lui?
«Altrimenti che fai homme? Mi mangi?». Il mio voleva solo essere un atto di insubordinazione, una ripicca su tutta quella sfilza di imperativi. Volevo passare per strafottente e ottenere così il suo rispetto.

L’avevo visto fare dai Les Schtroumpfs a Gargamel. E in quelle serie televisive americane per adolescenti coi sottotitoli che Damian faceva finta di seguire al mattino, prima di uscire per andare a prendere la corriera. La mia infanzia era stata costellata da ribelli in miniatura che avevano contribuito a formare il mio carattere spavaldo.

E da etiche di due mondi differenti: “Pain, beurre, confitur e uno sputo in un occhio”, secondo i francesi. Oppure: “Papanaşi, minciunele², cremă, che con lo sputo ti eviti il malocchio³”, secondo i romeni. Nell’indecisione, niente sputi, solo lingua biforcuta. Non mi aspettavo davvero che si alzasse, percorresse la distanza che ci separava ad ampie falcate e mi strattonasse per un polso.

²“Pane, burro e marmellata”, colazione tipica provenzale qui usata come filastrocca. Papanaşi e Minciunele sono dolci fritti romeni che si accompagnano a creme e sciroppi di frutta.

³ È credenza romena che lo sputo allontani il male.

 

Non capii più nulla. Lanciai un urlo, e in contemporanea lo colpii a una tempia caricando con quanta più forza potevo. Quello rimase stordito, strizzando gli occhi per il dolore, e io non persi tempo e mi misi a correre verso il balcone. Fu una fuga breve, perché l’uomo mi raggiunse e, trattenendomi per le spalle, mi spinse a percorrere le scale. Scalpitavo e cercavo di resistere a quella presa portentosa aggrappandomi al corrimano, ma per quanto egli non fosse esageratamente forte, io non potevo nulla.

Ero sicura: una volta raggiunto l’ultimo gradino l’avrei pagata. Serrai gli occhi, e mi feci scudo con gli avambracci alzati, ma non arrivò nessun manrovescio.  Anzi, l’altro mollò del tutto la presa, e se anche il petto si abbassava e alzava frenetico, aveva ripreso a dosare le buone maniere. Premeva le dita laddove l’avevo colpito, ma per quanto dolore potessi avergli procurato, non mi stava trapassando con un’occhiata carica d’odio.

«Puoi andare» se ne uscì. Piatto e monocorde, se comparato allo sbottare di mio padre. Mancava anche lo stridere dei denti.
«Ma…»
«Niente ma.»
«L’aquilone.»
«Ѐ tuo. Prendilo, ma per l’amor del cielo, vattene.»
Uscii dal garage mogia mogia, e recuperai il prezioso dono, che caricai in spalla dopo essermi avvolta la livrea attorno alla mano. Occhi da lupo mi seguivano ovunque, così come mi sentivo addosso il fiato caldo emesso dai suoi polmoni robusti. Lo odiai.

 

Mamma mi aveva insegnato come ogni cosa che nasce in questo mondo lo fa per un motivo. Che sia lampante o oscuro non importa, ognuno è al suo posto secondo un ordine universalmente esatto, e tutti siamo accomunati da due momenti: l’inizio e la fine. Lei avrebbe soccorso quell’uomo nel momento del bisogno, senza riflettere due volte.

Io, per quanto appartenessi ancora all’età considerata dell’innocenza, desiderai ardentemente di fargli male. Non avrebbe mai dovuto afferrarmi, mai! Né strattonarmi, spingermi, e fare leva sulla mia debolezza. Non mi sentii davvero libera neanche una volta varcato il cancello d’uscita e ricongiunta al mio amico di sempre.

«Ce l’hai fatta!» esclamò il giovane Goran. Mancai il suo cinque, così mi avvolse in un abbraccio. «Slavă Domnului!⁴ Non tornavi più!»

Gli accarezzai le punte dei ricci, che rigirai tra le piccole dita con fare rassicurante. Ridevo, ma non mi ero MAI sentita così male in vita mia. Per quanto non fosse successo nulla di preoccupante, avevo l’impressione che una scheggia mi fosse rimasta conficcata nel petto.

Ero svuotata, almeno allora. I giorni seguenti avrei vissuto in un limbo di sensazioni, bloccata prima nella rabbia, poi nella frustrazione, infine nel proposito di vendicarmi. Ci sarei entrata di nuovo, in quella casa. Stavolta senza dirlo a nessuno.

Avevo solo otto anni e giurai a me stessa che nessuno avrebbe più avuto la meglio su di me, per quanto potessi essere piccola e fragile. Me l’avrebbe pagata Monsieur, e chiunque altro avesse osato varcare i miei spazi, così precisamente costruiti. A meno di venti centimetri chi mi amasse, un metro per chi mi fosse amico, alla larga il resto del mondo, ma non l’universo intero.

 “Grazie a Dio!”, in romeno.

Fine

Scopri il racconto originale [senza editing]: LEGGI SUBITO

L’autrice dice di se stessa:《 Federica, 32 anni, sogno di diventare scrittrice da una vita. In effetti scrivo tutti i giorni, raccontando storie per i brand clienti. Ma inventarne di mie è un’altra faccenda, molto più stimolante! Oltre alla letteratura sono un’appassionata d’arte visiva, pittorica, post-impressionista: un’eredità del mio nonnino che mi ha fatta crescere a pane e movimenti artistici. E godo di un buon orecchio musicale, anche se in quanto a stile sono ferma tra gli anni ’70 e ’80》- Federica Nobile


2 risposte a “Belve Feroci – il finale”

  1. Bravissima Federica!
    Mi è piaciuto moltissimo questo racconto.
    Un andamento avvolgente, trascinante, inesorabile.

    • Grazie del commento, lo riferirò all’autrice del racconto, le farà molto piacere!
      Anche a me e all’editor questo racconto è piaciuto molto! Tosto da editare ma ci ha colpito molto!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *