La venere di Capua [originale]


[[VERSIONE NON EDITATA]

Il seguente racconto è stato editato secondo questi punti:
Rosa: errori grammaticali
[sintassi, espressioni scorrette, coniugazione dei verbi ecc…]
Azzurro: errori dal punto di vista della scrittura
[ripetizioni, punteggiatura dialoghi incoerente, tic letterari, sviste stilistiche]
Giallo: questioni tematiche o di coerenza narrativa

Mi innamorai di Livia, come solo a otto anni ti puoi innamorare, la prima volta che la vidi. Furono i suoi occhi, verdi come l’erba della via Appia, a colpirmi. 

Odiavo passare le estati in villeggiatura nelle case degli amici senatori di mio padre. Discutevano di schiavi, barbari, della guerra in Britannia, e io mi annoiavo. Mi mancava Roma. Ma quel luglio, quando arrivò anche lei, tutto cambiò. Lì la vidi solo di sfuggita, ma mi bastò.

La villa di Capua era rettangolare, circondata da colonne e da un ruscello che finiva nella piscina nel peristilio, ed ero lì a raccogliere sassi. Ne presi uno che mi piaceva, era bianco con riflessi verdi lucenti. Mi sembrava raro e prezioso e lo misi nella bisaccia, quando sentii una voce.

«Psst! Vieni qui!».
Era lei. Sparì dietro una colonna con un risolino e io la seguii. Corse attorno alla piscina con me alle calcagna. Ridevamo insieme. Deviò a destra verso la cucina, ma quando io feci lo stesso BAM! Girato l’angolo sbattei contro una domestica che aveva in mano un’anfora di vino caldo che volò e si infranse a terra.

«Monellaccio! Te la faccio vedere io!».
Corsi di nuovo fuori per scappare. Uscii verso le piscine e poi svoltai a sinistra. Lei mi stava col fiato sul collo ed ero sicuro che mi avrebbe preso, ma oltrepassata una colonna sentii una mano che mi afferrò per la tunica e mi tirò dietro un muretto. Era Livia. Mi mise un dito sulle labbra per farmi stare zitto e lo tenne lì, finché la domestica non rientrò in cucina.

«Hai visto che faccia le hai fatto fare?», mi disse ridendo.
«È proprio vero!», le risposi. «Io mi chiamo Rufo».
«Io Livia. Sono qui con mio padre, è un senatore. Ha affari importanti con questi uomini» mi disse.
«Anche il mio».
«Cosa facevi giù al ruscello?» chiese curiosa.
«Raccoglievo sassi. Quando mi hai visto ne avevo appena trovato uno bellissimo».
«Che bello!» mi rispose con un sorriso.
Ci pensai su. Diventai tutto rosso, mi feci coraggio e glielo porsi.
«Te lo regalo. Guarda, i riflessi verdi sono proprio come i tuoi occhi».
«Grazie! Sei gentile», disse tutta allegra.

Lo prese e lo girò un po’ tra le dita guardandolo, e poi mi diede un bacio sulla guancia. La mia faccia si fece ancora più rossa, come se fosse brace. E poi la guardai ancora, perso in quegli occhi verdi. Divenne la più bella estate della mia vita.

Fine

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