“White” Christmas


[tempo di lettura: 2min]

Forse è così per tutti i bambini del mondo. Per tutti quelli che hanno la fortuna di avere un padre. Io sono stato uno di loro. Il mio l’ho inseguito con affanno per tutta la vita, nella speranza che si girasse verso di me, allungando una mano per accompagnarmi verso un futuro incerto.

Tutti i bambini maschi hanno un momento di incertezza durante la crescita e ripongono la loro speranza in una figura maschile, paterna. D’altronde, chi altro può insegnarti a diventare un uomo?

Ma nessuno mi ha mai teso quella mano di cui avevo tanto bisogno. Ho dovuto cercarla altrove, in esperienze discutibili: in amicizie con uomini maturi che nascondevano un secondo fine, in una sconclusionata ricerca di un’identità sessuale, in sostanze che apparentemente sedavano la mia ansia.


Il vagare nei meandri interiori è stato amaro, molto amaro. Le relazioni con uomini dell’età di mio padre potevano solo darmi quel contatto fisico che tanto avrei voluto, ma sotto spoglie ben più squallide; riuscivano a toccarmi il corpo, ma mai nessuno è riuscito a entrarci dentro, fino al cuore.

Ho creduto che una polvere bianca, da iniettare nelle vene, potesse riempire quel buco nell’anima che niente e nessuno riusciva a colmare e il risultato finale è stato un’altra volta amaro, molto amaro.

Finalmente, però, ho ottenuto l’attenzione di mio padre. Anche se era uno sguardo pieno di disprezzo. Quella sua mano, che tanto avevo desiderato, si appoggiò su di me con tutta la violenza di cui era capace e quel gesto contò più di mille parole.

In parte, pensavo di aver ottenuto quello di cui avevo bisogno, e questo mi servì per cercare di rimediare: adesso che in qualche modo mi stava considerando, potevo giocare le mie carte e trovare la forza per ricostruire il rapporto con lui. O adesso o mai più, pensavo.

Non aveva creduto alle mie promesse di cambiamento, ma ero sicuro che fosse il momento giusto per dimostrargli che si sbagliava. Ci misi tutta la mia buona volontà per riuscirci e, dopo un faticoso percorso di recupero, mi diedero la possibilità di tornare a casa per festeggiare il Natale in famiglia.


Ero cambiato ma, all’idea di rivederlo, mille timori mi assalivano ancora. Dall’esito di quell’incontro poteva dipendere tutto il mio futuro: era l’ultima possibilità che avevo di riscatto ai suoi occhi. Assalito da questi pensieri, commisi l’errore. 

Pensai che una piccola dose mi avrebbe aiutato, senza compromettere la situazione. E fu tutto perfetto. Troppo perfetto. Artificiosamente perfetto. Ottenni il suo amorevole sguardo, la sua mano tesa su di me e perfino parole di orgoglio per il figlio che aveva ritrovato. Sapevo di essere meschino, falso, diverso da quello che avevo mostrato; di non meritare la sua stima.

Avrei voluto che mi apprezzasse, nonostante le mie fragilità e debolezze. Non restava altro che dirglielo, affrontarlo e giocarmi il tutto per tutto. O lo conquistavo o lo perdevo per sempre. Arrivato a quel punto, dovevo avere il coraggio di essere me stesso, fino in fondo, o non avrei mai sentito veramente il calore della sua mano nella mia. 

Durante la notte di Natale, mentre mi preparavo per parlare con lui l’indomani, mio padre venne colto da un infarto e morì, lasciandomi con l’amarezza di avergli donato la subdola felicità di aver ritrovato suo figlio e un profondo senso di colpa che ogni Natale si rinnova, ma anche la sua più grande lezione.

Siamo fragili, deboli e soli. Dobbiamo fare i conti con la mancanza, con un posto vuoto a tavola, con amori che non sempre vengono corrisposti come vorremmo, ma dobbiamo essere sempre noi stessi.

Fine


Racconto originale [senza editing]: coming soon

L’autore dice di se stesso: 《Ciao sono Ugo e ho davvero tante passioni: dal cinema, alla musica, alla moda e, non ultima, la scrittura. Ho sempre amato scrivere tutto quello che mi passava per la testa, forse per assicurarmi di non essere solo quello che sono– Ugo Domeniconi


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *